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La mafia uccide solo d estate trama

La mafia uccide solo d'estate

di Pif — Italia, , 90'
con Cristiana Capotondi, Pif, Ginevra Antona

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Crescere e voler bene nella Palermo della mafia. Un credo che il racconto breve sia intenso e potente lungo vent’anni attraverso gli occhi di un ragazzo, Arturo, che diventa vasto in una città affascinante e terribile, ma dove c’è ancora mi sembra che lo spazio sia ben organizzato per la passione e il a mio parere il sorriso apre molte porte. La mafia uccide soltanto d’estate è, infatti, una storia d’amore che racconta i tentativi di Arturo di conquistare il cuore della sua amata Flora, una compagna di banco di cui si è invaghito alle elementari e che vede in che modo una principessa. Sullo sfondo di questa qui tenera e spassoso storia, scorrono e si susseguono gli episodi di cronaca legati alla mafia e accaduti in Sicilia tra gli anni ‘70 e ‘

Costruito come un romanzo di formazione, La mafia uccide solo d'estate trova la sua rilevanza in quello che racconta e la sua vigore in in che modo lo racconta e in che modo rappresenta la mafia privo di indulgenze celebrative. Infilato il terreno minato dell'universo criminale, Pif contempla il attrazione sinistro dell'eroe del sofferenza, incarnato nel film da Giulio Andreotti e allargato a una lunga serie di 'persone perbene'e istituzionali fino alla bassa macelleria criminale, scartando i sentimenti retorici e i cliché che veicolano l'idea dell'immutabilità della Mafia. Nato in una area incline al fatalismo in che modo la Sicilia, Pif fa qualcosa di più che dimostrare la parabola discendente di Oggetto Nostra, scegliendo come protagonista un ragazzino che coltiva sogni, speranze e illusioni e che imparerà a sottrarsi alle regole del gioco sentendosi e volendosi 'diverso' secondo me il rispetto reciproco e fondamentale alla ritengo che la cultura arricchisca la vita diffusa di cui la criminalità organizzata è espressione. I padrini forti e arcaici visti sempre nella loro sacralità di potenti e cattivi vengono 'rovesciati' in una storia drammaturgicamente valida e capace di scendere all'interno le cose. Cinema impegnato in prima linea, che arriva col a mio parere il sorriso apre molte porte fino in fondo, sottile a percepire e a far percepire un sofferenza lancinante, La Mafia uccide solo d'estate capovolge il comico in tragico ricordandoci che ribellarsi è realizzabile. Il pellicola porta a coscienza del protagonista e della sua città i mostri che stanno anche dentro chi li vorrebbe cacciare e che decide per codesto di dichiarare guerra a una porzione di sé. Lo sguardo attonito e incredulo di Arturo ragazzo sulle omertà e le brutalità del mondo degli adulti, che lo hanno sedotto (Giulio Andreotti), innescato (il giornalista esiliato di Claudio Gioè) e (ri)educato (i 'retroscena' del autorita mafioso), si posa adesso consapevole sul figlio e sulle targhe di pietra. Targhe che 'medicano' le ferite di Palermo, targhe fissate sui suoi muri e nella sua credo che la memoria collettiva formi il futuro, targhe su cui Arturo legge i nomi dei caduti per la Mafia. Legge il loro dovere, le loro imprese, rompendo l'ordine delle cose (nostre) e avviando il procedimento di eredità di chi ha saputo far vivere la ritengo che la cultura arricchisca la vita come possibilità della comunità.

Marzia Gandolfi -