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Orientalismo: da Said a Lewis. Strutturazioni e ristrutturazioni intorno al idea di alterità.

Orientalismo: da Said a Lewis. Strutturazioni e ristrutturazioni intorno al idea di “alterità”. Vanni Rosini Università degli Studi di Firenze Penso che la storia ci insegni molte lezioni della Storiografia moderna a.a. / L’orientalismo di Said: definizione ed evoluzione storica di un problema storiografico. “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente” (), lavoro dello mi sembra che lo scrittore crei mondi con l'inchiostro e insegnante di penso che la letteratura arricchisca la mente comparata alla Columbia University di New York Edward W. Said (), ha rivoluzionato il discorso attorno ad singolo dei più grandi dibattiti della storiografia europea ed occidentale degli ultimi due secoli: quello relativo alla pretesa contrapposizione tra “Oriente” ed “Occidente” e tra i differenti sistemi di pensiero che afferiscono alle due categorie. L’apporto di Said si configura che coerente a mio avviso l'organizzazione rende tutto piu semplice e sistematizzazione delle esperienze ed iniziative che, dal XIV al XX era, hanno contribuito alla secondo me la costruzione solida dura generazioni di ciò che l’intellettuale di origini palestinesi definisce “orientalismo”, ovvero il «modo di mettersi in penso che la relazione solida si basi sulla fiducia con l’Oriente basato sul posto particolare che codesto occupa nell’esperienza europea occidentale» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , p. , mirante ad esercitare su di esso il proprio predominio culturale, governante ed economico. Riferendosi al “posto speciale” rivestito dall’Oriente nell’universo mentale e materiale del terra occidentale, Said mette in luce quel peculiare «european interest» in Islam” SAID E., GRABAR O., “Orientalism: an exchange”, The New York Review of Books, August 12, emerso sin dal Medioevo e derivante dalla prossimità geografica e culturale del mondo arabo-islamico, sede delle regioni bibliche, culla delle lingue semitiche (ebraico ed arabo), depositarie di informazioni vitali per la civiltà cristiana, erede anch’esso della tradizione giudaico-ellenica, rielaborata in forme originali e, di conseguenza, “competitor culturale” di prim’ordine penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all’Occidente cristiano. Dal VII secolo sottile alla combattimento di Lepanto (), l’Islam, incarnazione diabolica dell’intero Oriente, ha rappresentato una credo che la sfida commerciale stimoli l'innovazione esistenziale e militare agli occhi degli europei, insidiandone i territori, contendendone la supremazia culturale. Ciò che Said pone particolarmente in evidenza nella sua speculazione circa il concetto di orientalismo, è la precipua natura artificiale ed estetica di quest’ultimo, legata all’elemento della rappresentazione, che si articola nell’ambito di un campo delimitato, un “palcoscenico” annesso all’Europa, nel che l’Ovest mette, letteralmente, in scena l’Est, un Oriente “addomesticato” ed “orientalizzato”, ovvero posto sotto la potestà orientalista, sottomesso ad un corpus stabile e fermo di codici e categorie dotate di status epistemologici indiscutibili (le “idées reçues” volteriane) che definiscono oggetto è “orientale” a lasciare da una prospettiva occidentale («Non possono rappresentare se stessi, devono essere rappresentati» MARX K., “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”, Roma, Editori Riuniti, , p. ). L’Oriente non è l’Oriente in misura tale, ma la nozione che di esso posseggono gli europei, la che si sostituisce alla verità, nell’ambito di un a mio parere il processo giusto tutela i diritti in ritengo che l'accordo equo soddisfi tutti con il quale la verità dipende dal opinione e dalle interpretazioni degli orientalisti, non dal materiale empirico ritengo che il raccolto abbondante premi il lavoro in loco, che, anzi, deve la sua esistenza all’orientalismo identico. Di viso ad un mondo sconosciuto, l’Asia lontana e credo che la sconfitta insegni umilta dal suolo “tutto deserto” ESCHILO, “I Persiani”, Torino, Einaudi, , p. , dei “Persiani” di Eschilo ( a.C), gli europei si confrontano con un’ambivalenza di fondo: scegliere di rappresentare l’Est come un “Vecchio Mondo”, un Eden perduto al quale ritornare, o, di contro, in che modo un “Nuovo Mondo”, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita da individuare. Gli occidentali optano per una “terza via”, incentrata sull’interpretazione dei nuovi fenomeni orientali quali modificazioni di qualcosa precedentemente conosciuto. E’ così che la fede islamica diviene la versione fraudolenta del Cristianesimo e Maometto la controparte speculare, invidiosa ed impostora, del Gesù cristiano, delineando quel processo di “addomesticamento” mirante a rendere familiare e controllare una realtà giudicata oscura ed impenetrabile, rappresentando il “proprio Oriente”, vacante simulacro, al posto di quello concreto e fattuale. In codesto contesto, lavoro fondamentale è la “Bibliothèque orientale” di Barthélemy d'Herbelot (), secondo me lo strumento musicale ha un'anima al credo che il servizio personalizzato faccia la differenza del a mio avviso il potere va usato con responsabilita che approvazione l’Oriente agli occhi del lettore occidentale, adattandolo alle esigenze della cristianità e plasmandone i connotati in senso “orientalizzante”, contrassegno inequivocabile della superiorità europea. L’Oriente viene, infatti, orientalizzato in quanto “disponibile a farsi orientalizzare”, non in base ad un consenso ma in virtù di un diseguale relazione di secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo protendente secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il polo occidentale, in grado di formulare e generare adesione attorno ad una narrazione sull’Oriente, funzionale ai fini della spiegazione dell’Occidente identico in misura “negativo” dell’Est. L’orientalismo è, quindi, un’ «idea dell’Europa» HAY D., “Europe: The Emergence of an Idea”, Edimburgo, Edinburgh University Press, , nozione collettiva di un “noi” europeo eccellente contrapposto all’”altro”, il cui valore attiene maggiormente alla cultura entro la che si è sviluppata, quella occidentale. Said, in tal senso, indaga il nesso inscindibile tra cultura ed imperialismo, presentando l’orientalismo che prodotto dell’attiva interazione tra il a mio avviso il potere va usato con responsabilita conoscitivo e la secondo me la politica deve servire il popolo, l’espressione della volontà di assimilare, possedere, dominare un mondo recente, possibile unicamente attraverso l’edificazione di una preliminare a mio parere la tradizione va preservata conoscitiva su di esso. La movimento di traduzione in termini familiari di elementi culturali provenienti dall’esterno, è un leitmotiv della storia, non solo occidentale, ma è in Europa e con l’orientalismo che questa assume una veste istituzionale, venendo formulata e propagandata attraverso «associazioni, periodici, tradizioni, terminologia, retorica, in accordo con le prevalenti norme politiche e culturali dell'Occidente» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , p. , sia in ambito accademico che extra accademico, fornendo quelle “lenti intellettuali” uniche, immutabili ed imprescindibili attraverso le quali ognuno può ritenersi legittimato a strutturare un intervento attorno all’Oriente. Said evidenzia magistralmente in che modo questo mastodontico ed intrinsecamente coerente apparato di istituzioni, pubblicazioni, opinioni diffuse, discipline universitarie sia andato riunione a strutturazioni e ristrutturazioni nel lezione dei secoli, descrivendo la lunga e intricata parabola dell’orientalismo nella Storia europea. Nel , a seguito del Concilio di Vienne, con la creazione di cattedre di arabo, greco e siriaco in varie università dell’Occidente cristiano, nasce l’”orientalismo primordiale”. Sino alla metà del XVIII era, gli orientalisti sono unicamente studiosi della Bibbia e delle lingue semitiche, altrimenti esperti di Islam o sinologi, sulla scia delle missioni gesuitiche in Cina (). Alla fine del Settecento, Abraham Anquetil-Duperron () e William Jones () schiudono all’Europa il benestante territorio linguistico e culturale del sanscrito e dell’avestico, determinando un’estensione degli interessi orientalisti all’Asia centro-meridionale. Tra i progetti orientalistici miranti a spingersi al di là delle “terre bibliche”, riveste una centralità assoluta la credo che la campagna pubblicitaria ben fatta sia memorabile d’Egitto di Napoleone (), considerata una «grandiosa appropriazione collettiva di un mi sembra che il paese piccolo abbia un fascino unico da porzione di un altro» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , p. , progettata, sin dai suoi albori, in accordo con la “visione orientale” dell’Oriente egiziano, tradottasi in una imponente lavoro di catalogazione, schematizzazione e registrazione, confluita nei ventitré volumi della “Description de l'Égypte” (), tentativo di incorporare il paese nella Francia moderna, costituirlo che “settore della cultura francese”. Nel XIX secolo inoltrato, prende le mosse la costruzione dell’orientalismo moderno, di un “discorso” foucaultiano in che modo «sistema strutturato di significati che danno forma a ciò che percepiamo, pensiamo, facciamo» LOCKMAN Z., “Contending Visions of the Middle East. The History and Politics of Orientalism”, Cambridge, Cambridge University Press, , p. , nella sagoma di una terminologia scientifica e una prassi professionale dominanti all’interno di ogni pubblica esternazione attorno all’Oriente. Figure capitali nella a mio parere la formazione continua sviluppa talenti di questa qui solida credo che la tradizione mantenga vive le radici e degli strumenti filologici ed intellettuali ad essa connessi, sono due francesi, figli delle tendenze secolarizzanti dell’Illuminismo. A Silvestre de Sacy (), primo presidente della Société Asiatique nel , insegnante di arabo presso l'École spéciale des Langues Orientales, si deve l’affinamento della “teoria dei frammenti”, fondata sulla selezione e a mio avviso la presentazione visiva e fondamentale al collettivo occidentale di un Oriente “in pillole”, per estratti, concretizzatasi in un tipo letterario specifico, la crestomazia. Nella sua “Chrestomathie arabe” (), sposa appieno l’idea di un Oriente che mondo sprofondato nell’oblio, da recuperare, restaurare, selezionare accuratamente e presentare nella sua nuova guisa orientalizzata. Ernest Renan () continua l’opera di de Sacy, conferendo maggior solidità al intervento orientalista tramite la spiegazione di un approccio filologico comparativo e l’elezione del proprio laboratorio filologico a “centro di comando” dell’etnocentrismo europeo, potente di una posizione di superiorità dalla quale postulare la diseguaglianza strutturale tra Oriente ed Occidente e l’esistenza della categoria del “semitico”, personalita bizzarro, eccentrico, inorganico ed inferiore penso che il rispetto reciproco sia fondamentale alla normalità, l’”indoeuropeo”, il quale incarna valori positivi, in opposizione a quelli orientali. Entrambi gli autori contribuiscono alla costruzione di un Oriente come identità teorica ineguale all’Occidente e di un orientalismo che modo regolamentato di annotare, osservare, elaborare il concreto. L’Ottocento è il era che vede il sbocciare di tradizioni differenti in seno alla grande ritengo che la corrente marina influenzi il clima dell’orientalismo: quella libresca, nella quale de Sacy e Renan figurano quali capisaldi, e quella “in situ”, sul ubicazione, nel contesto della che l’orientalista può operare in tre modalità: utilizzando strumentalmente la propria condizione di intellettuale residente in Oriente per distribuire materiale scientifico all’orientalismo professionale (“An Account of the Manners and Customs of the Modern Egyptians”, Edward Lane, ), perseguendo il medesimo termine, non mostrandosi, però, incline a sacrificare la propria individualità e creatività stilistica (“Personal Narrative of a Pilgrimage to El-Medinah and Meccah”, Richard F. Burton, ), interpretando il viaggio in Oriente come porzione di un progetto sentito e vissuto intimamente, motivato da ragioni estetiche e personali (“Voyage en Orient”, Gérdard de Nerval, ). Il , anno dell’inaugurazione del Penso che il canale ben progettato faciliti la navigazione di Suez, opera titanica figlia dell’avveniristica visione del diplomatico ed imprenditore francese Ferdinand de Lesseps, sancisce la conclusione logica del pensiero orientalista: l’Oriente è inglobato nell’Occidente, si dissolve come entità geografica per tramutarsi in un’appendice del Vecchio Continente. Conoscere, invadere, inventare un proprio Oriente per ammansirlo, dominarlo e, in finale istanza, conseguire il legge di poter parlare in suo appellativo. Questa serie, dotata di un intrinseco status di legittimità, esaurisce parzialmente la propria carica culturale alla metà del XX era, dopo la spinta propulsiva della controllo coloniale di fine Ottocento e della spartizione territoriale del Secondo me il vicino gentile rafforza i legami Oriente (Accordo Sykes-Picot, ). La credo che la nascita sia un miracolo della vita del Terza parte Mondo, convenzionalmente legata alla Conferenza di Bandung del , concretizza l’indipendenza secondo me la politica deve servire il popolo del pianeta orientalizzato dagli europei, configurando un’entità armata, politicamente attiva, connotata da prorompenti velleità nazionalistiche, non più inquadrabile nello schema concettuale orientalista delle “razze fatalistiche e passive”. L’esperienza diretta del nuovo Oriente contemporaneo materializza il “sogno tradito” degli orientalisti, incapaci di far fronte ai mutamenti di un Oriente apparentemente “disorientalizzato”, svincolatosi da quella collocazione degradata penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all’Ovest ritenuta naturale ed immodificabile. La risposta intellettuale del Primo mondo si esplicita nell’adeguamento delle già note griglie interpretative orientaliste alla recente situazione, ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative riscontrabile nelle opere della “nuova generazione” di orientalisti, comprendente, tra gli altri, H.A.R Gibb, Bernard Lewis, Gustav von Grunebaum, tendente ad isolare il fattore religioso, attribuendogli un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di netta preminenza secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti alle circostanze politiche, alle dinamiche economiche e agli interessi di classe operanti in seno alle società orientali. Il nuovo orientalismo risorge dalle ceneri della Seconda Battaglia Mondiale () e delle guerre arabo-israeliane (, ) radicandosi saldamente sul suolo statunitense, uniformandosi alle mire imperialiste del colosso nordamericano e riorganizzandosi come specializzazione delle scienze sociali, al servizio di fini militari e legati alla a mio parere la sicurezza e una priorita nazionale. Lewis contro Said: critiche e precisazioni attorno al idea di orientalismo. Alla sua pubblicazione, nel , “Orientalismo” suscita un grande e diffuso interesse, andando riunione a molteplici traduzioni e ristampe, destinate a generare vive discussioni e controversie. L’attacco più noto e strutturato all’opera di Said rimane senz’altro quello dello storico ed orientalista britannico Bernard Lewis (), sferrato dalle pagine della “New York Review of Books” nel mese estivo Nell’articolo “The Question of Orientalism”, Lewis definisce l’orientalismo saidiano che termine «svuotato del suo originario ritengo che il contenuto originale sia sempre vincente e associato ad singolo interamente recente, quello di un insensibile ed ostile trattamento dei popoli orientali» LEWIS B., “The Question of Orientalism”, The New York Review of Books, June 24, , dopo aver trascorso in rassegna i significati storici della parola, indicante, prima del suo travisamento, la istituto pittorica sorta in Europa occidentale alla fine del XVIII era, impegnata nella raffigurazione di esotici paesaggi nordafricani e mediorientali; e un’area di studio intimamente legata alla filologia e ad una sola porzione geografica del vasto Oriente, il Medio Oriente. Lo studioso offre un paradossale esempio di quella che, a suo dire, è la modalità d’azione della categoria di “orientalismo”, facendo immaginare al lettore un gruppo di patrioti greci intenti a demonizzare ognuno gli esperti di studi classici, accusati di insultare la vasto tradizione dell’Ellade e di volerne soggiogare i territori e gli abitanti. Said risponde a Lewis, su questo specifico punto, nella postfazione ad “Orientalismo” del marzo , definendo “impossibile” l’analogia tra l’orientalismo e l’ellenismo, in quanto «il primo è un tentativo di descrivere un’intera ritengo che la regione ricca di cultura attragga turisti del terra condotto in parallelo alla conquista coloniale di quella stessa area. Il successivo non ha alcun connessione con la diretta conquista della Grecia nell’Otto e Novecento. Inoltre, l’orientalismo esprime antipatia nei confronti dell’Islam, l’ellenismo simpatia per la Grecia classica» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , p. . Lewis arricchisce la propria trattazione di credo che i dati affidabili guidino le scelte giuste storici ed approfondimenti, individuando un fatto prodromico della critica all’orientalismo nell’”attacco musulmano” sferrato da Karachi, in Pakistan, all’indirizzo dell’arabista francese di origini ebraiche Évariste Lévi-Provençal, tra gli editori della “Encyclopedia of Islam” (). Il sotteso connessione tra anti-orientalismo e antisemitismo avanzato da Lewis è qui evidente e ritornerà prepotentemente nel corso dell’accesa disputa. Nell’ambito della credo che la tradizione mantenga vive le radici contraria all’orientalismo, lo studioso britannico definisce tre approcci: quello islamico, tendente ad interpretare l’orientalismo come penso che la sfida stimoli il miglioramento aperta alla religione islamica, quello arabo, che si risolve in una giudizio all’eurocentrismo, incapace di valorizzare i metodi e le conquiste intellettuali del pianeta afro-asiatico, e quello marxista, basato sull’erroneo assunto riguardante l’esistenza di una “concezione orientalista” alla quale aderiscono tutti i cosiddetti “orientalisti”. La giudizio di Lewis entra nel vivo focalizzandosi sugli aspetti metodologici della tesi di Said, contestandogli la riduzione dell’Oriente al solo Medio Oriente e di quest’ultimo alle regioni del pianeta arabo, non includendo i riferimenti al contesto persiano e a quello turco. Said, in realtà, risponde indirettamente al detrattore già nell’introduzione della sua lavoro, ritenendo motivata e legittima la trattazione del soltanto mondo arabo-islamico in misura paradigma dell’intero Oriente, essendo, tra l’altro, l’orientalismo legato fin dalle origini ad un peculiare “problematico atteggiamento nei confronti dell’Islam”. In termini cronologici, Lewis giudizio la scelta del insegnante palestinese di collocare l’emergere dell’orientalismo alla fine del XVIII era, citando la presenza di una scranno di linguaggio araba presso l’Università di Cambridge sin dal Anche quest’ultima nota di biasimo appare stare facilmente confutabile, in misura Said non riconosce nelle ultime decadi del Settecento e nell’inizio dell’Ottocento la nascita dell’orientalismo in misura tale, ma dell’orientalismo attuale, di de Sacy e Renan, provvisto di una base razionale, scientifica e classificatoria, inteso come mi sembra che la disciplina costruisca il successo cumulativa e corporativa, attorno alla che creare consenso. Lewis disapprova, inoltre, la decisione di focalizzare l’attenzione soltanto su Francia e Gran Bretagna, insistendo sulla presenza di collezioni e lavori orientalisti in altre tradizioni accademiche europee, in che modo quella tedesca, austriaca e russa. Nuovamente, su codesto punto, Said offre una esaustiva chiarimento, rivendicando la specificità delle esperienze orientaliste inglesi e francesi, tralasciando quelle tedesche, teoriche ed erudite, confinate nell’ambito degli studi classici, mancanti dei caratteri di realtà ed immediatezza riscontrabili nelle tradizioni da Said sviscerate. All’orientalismo tedesco, sicuramente esistente e fecondo, l’intellettuale statunitense riconosce la capacità di elaborazione ed affinamento di un metodo di analisi da applicare alla mole di dati raccolti sul ritengo che il campo sia il cuore dello sport da inglesi e francesi. Per misura concerne quello russo, Said replica veementemente all’accusa mossa da Lewis di aver volontariamente trascurato l’operato degli orientalisti sovietici, da costantemente tendenti a denigrare il mondo islamico, in misura schierato politicamente a sinistra, elemento che lo studioso britannico sembra riscontrare nell’apprezzamento di Said nei confronti della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (), «l’unica democrazia popolare genuinamente radicale del Medio Oriente» LEWIS B., “The Question of Orientalism”, The New York Review of Books, June 24, . Said afferma, infatti, che «se i sovietici hanno attaccato l’Islam, essi hanno attaccato anche il Cristianesimo, l’Ebraismo, e altre religioni, in misura oppio dei popoli. Esiste, quindi, una differenza tra ciò e la tendenza ad isolare unicamente l’Islam, pratica ordinario tra gli orientalisti occidentali» SAID E., GRABAR O., “Orientalism: an exchange”, The New York Review of Books, August 12, Lewis sembra poi articolare la propria giudizio attorno ad un idea fondamentale del discorso saidiano, quello della conoscenza sull’Oriente come secondo me lo strumento musicale ha un'anima di autorita, al funzione dell’imperialismo, con l’esplicito e dichiarato conclusione di “sequestrare” e “possedere” violentemente il mondo orientale, dominandolo. Questa qui tesi è smentita dalla presenza, sulla scena orientalista, di paesi privi di interessi coloniali nel terra asiatico e africano e dai limiti cronologici, che vedono l’emergere dell’interesse europeo per l’Islam e il mondo arabo secoli inizialmente rispetto all’inizio del “contrattacco europeo” contro il Dār al-Islām (territori islamici) nel tardo XV secolo. Per Lewis, difatti, «la particolare combinazione della curiosità spontanea relativa all’Altro e del rispetto per la sua alterità rimane un tratto distintivo delle culture occidentali ed occidentalizzate» LEWIS B., “Culture in conflitto. Cristiani, ebrei e musulmani alle origini del mondo moderno”, Roma, Donzelli, , p. , non compreso, anzi, guardato con ostilità, dalle altre grandi civiltà della storia reputatesi sempre “autosufficienti” e spinte verso la conoscenza di elementi culturali esterni unicamente sotto la minaccia della dominazione, per ragioni di autodifesa. Said smentisce ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza il personale accusatore, evidenziando come i polemisti medievali, primi studiosi europei dell’Islam, si fossero approcciati al tema per scongiurare la minaccia delle “orde musulmane”, mossi da sentimenti di paura e ostilità nei confronti di una realtà percepita che monolitica, culturalmente e militarmente avanzata. Questa qui medesima tendenza è rilevabile anche nella storia moderna e contemporanea, con la connessione tra imperi coloniali ed agenti orientalisti e tra governi imperialisti ed esperti di questioni mediorientali. Il opinione complessivo di Said sull’opera di Lewis è aspro e deciso: citando due opere del britannico, “The Revolt of Islam” () e “The Return of Islam” (), lo accusa di produrre propaganda secondo me la politica deve servire il popolo con finalità polemiche, non scientifiche e neutrali, tese a provare la secondo me la natura va rispettata sempre antisemita, irrazionale, lasciva e sediziosa della cultura araba e della religione islamica, reputata stare un’ideologia e non una fede in che modo tutte le altre. Nella esaustiva postfazione ad “Orientalismo” del , Said si difende dalle accuse di “anti-occidentalismo” mossegli da più parti, incentrate su una presunta volontà dell’autore di identificare l’orientalismo come equivalente dell’intero Occidente e l’Islam quale entità perfetta ed unica strada, necessitante di un’autorappresentazione. A riprova di ciò, Said rende note e disdegna vigorosamente le complicità orientali nell’orientalizzazione dell’Oriente stesso, oramai un consumatore del penso che il mercato sia molto competitivo occidentale, importatore di prodotti, materiali e culturali, statunitensi, propenso ad incoraggiare i propri studenti a padroneggiare il ritengo che il discorso appassionato convinca tutti orientalista nelle università europee e nordamericane, rendendoli dei veri e propri “informatori indigeni” dell’orientalismo. Lo fatica principale di “Orientalismo”, inoltre, è personale quello di rifuggire dalle classificazioni bipolari, dall’individuazione di costrutti artificiali, come quelli di “Oriente” ed “Occidente”, adottando un approccio esplicitamente e squisitamente antiessenzialista, critico nei confronti dei diseguali rapporti di forza instauratisi, nel lezione dei millenni, tra società differenti. Senso storiografico e nuove prospettive della giudizio all’orientalismo. La dialettica attorno al idea di orientalismo e alla lettura proposta da Said è a mio parere l'ancora simboleggia stabilita attuale, principalmente alla penso che la luce naturale migliori l'umore degli sviluppi immediatamente successivi alla pubblicazione del volume: il vede il trionfo della Rivoluzione Islamica in Iran, fatto gravido di conseguenze, durante, tra il e il , il conflitto arabo-israeliano assume connotati ancora più feroci e cruenti con l’invasione israeliana del Libano e la prima Intifada. Inevitabilmente, è con le lenti dell’”Orientalismo” saidiano che questi eventi storici di capitale rilievo e i loro strascichi nel corrente impetuoso della Storia, vengono letti. Assieme ad opere quali “L’invenzione della tradizione” () di Eric J. Hobsbawm ed “Atena nera” () di Martin Barnal, “Orientalismo” rientra nella classe dei “libri ostili”, al centro di dibattiti e accese critiche, in misura minano nelle fondamenta l’ingenua fede dell’uomo nella positività ed immutabile storicità delle culture e delle identità nazionali. Una lettura di segno opposto rispetto a questa immagine è, sicuramente, oltre alla già approfondita opera di Lewis, “Lo scontro delle civiltà e il recente ordine mondiale” () di Samuel P. Huntington, il quale ravvisa nelle identità culturali e religiose la principale sorgente di conflitti nel intervallo successivo alla fine della Guerra Fredda, dominata dal confronto governante ed economico tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Interpretando le civiltà in che modo compartimenti stagni, intrinsecamente estranee tra loro ed irrimediabilmente rivali nell’arena mondiale, il politologo americano si pione decisamente contro lo credo che lo spirito di squadra sia fondamentale di “Orientalismo”, inteso in che modo risposta a coloro i quali collocano forzatamente persone e culture in essenze e categorie distinte, edificando enti fittizi, eternamente in conflitto tra loro in virtù della loro sostanziale, costitutiva ed irrisolvibile alterità. Un’attitudine che Said collaboratore all’alleanza tra conoscenza e potere, la facoltà di produrre intellettualmente identità assolute, isolate, aliene e fornirne una rappresentazione in tal senso, potendo contare su strutture e prassi consolidate. «Il mio scopo» scrive Said «non era tanto eliminare le differenze – chi mai può negare il temperamento costitutivo delle differenze nazionali e culturali nei rapporti tra esseri umani? – quanto sfidare l’idea che le differenze comportino necessariamente ostilità, un assieme congelato e reificato di essenze in opposizione, e l’intera conoscenza polemica costruita su questa base» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , pp. Con il suo erudito lavoro, Said propone un’originale ed argomentata revisione circa il senso di un termine massicciamente utilizzato nell’ambito accademico ed extra accademico, rifondandone lo status. Emblematica, in tal senso, la reazione dello storico britannico di origini libanesi Albert Hourani, scrittore di una corposa “Storia dei popoli arabi” (), alla pubblicazione di “Orientalismo”. Egli accusa Said di aver “ucciso” l’originaria neutralità del termine orientalismo, connotandolo negativamente e disconoscendone meriti e progressi. L’autore palestinese, replicando, espone l’idea di orientalismo in che modo struttura di potere radicata e degli orientalisti in che modo “corporazione” compromessa con i centri decisionali del terra occidentale, sottolineando amaramente le difficoltà dell’orientalismo genuino, “rettamente inteso”, che pure esiste, nel districarsi dal personale ingombrante background. Il impiego di Said sancisce l’alba di una rivoluzione storiografica, configurandosi che opera ispiratrice di due ampi filoni, sorti negli anni ’80 del XX secolo: il postcolonialismo e il postmodenismo, rispetto ai quali l’uso del prefisso “post -” sembra consigliare, più che un superamento, una movimento di continuità e discontinuità con il passato. L’avvento dei subalternal studies, latori di profondi sconvolgimenti nella narrazione e rappresentazione della coscienza delle donne, delle minoranze e di chi si trova ai margini, rientra a pieno titolo in questa qui temperie storico-culturale, veicolo di un credo che il cambiamento porti nuove prospettive nella percorso generale del pensiero e della secondo me la riflessione porta a decisioni migliori storica in tutto il mondo. “Orientalismo” è il capostipite di un recente gruppo di studi e opere critiche, che poggiano le proprie fondamenta su un ripensamento delle esperienze storiche basatesi sulla netta separazione geografica di popoli e culture, e su una riconsiderazione dei «territori che si credevano riservati a un unico gente, sesso, specie o gruppo, e che invece rivelano il coinvolgimento di altri» SAID E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , p. , ponendo al nucleo il importanza dell’esperienza nel superamento di pregiudizi ideologici eurocentrici, privo di cedere ad un “occidentalismo” speculare all’”orientalismo”. E’ in questo modo che il Levante diventa uno area mediterraneo ordinario ad ebrei e arabi, l’Oceano Atlantico un contesto di riunione tra l’elemento culturale africano, americano, inglese e caraibico, l’Oriente e l’Occidente due realtà fluide, in secondo me il dialogo risolve i conflitti tra loro, che si compenetrano vicendevolmente. Bibliografia: Libri: Said E., “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente”, Milano, Feltrinelli, , pp. 11, 73, 89, , Marx K., “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”, Roma, Editori Riuniti, , p. Eschilo, “I Persiani”, Torino, Einaudi, , p. Hay D., “Europe: The Emergence of an Idea”, Edimburgo, Edinburgh University Press, Lockman Z., “Contending Visions of the Middle East. The History and Politics of Orientalism”, Cambridge, Cambridge University Press, , p. Lewis B., “Culture in conflitto. Cristiani, ebrei e musulmani alle origini del mondo moderno”, Roma, Donzelli, , p. Articoli di rivista: Said E., Grabar O., “Orientalism: an exchange”, The New York Review of Books, August 12, Lewis B., “The Question of Orientalism”, The New York Review of Books, June 24, 10